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Carlo Giuliani



TESTIMONIANZE SUGLI ABUSI DELLA POLIZIA


Intervista a un ispettore dei Gom, il gruppo operativo della polizia penitenziaria.
"Mai visto tanto dolore""A Bolzaneto era la celere a pestare i prigionieri"


di CLAUDIA FUSANI

ROMA
- "Ce li consegnavano pestati, sanguinanti, qualcuno piangeva, altri urlavano, altri ancora erano impietriti dalla paura e con gli occhi pesti. Un ragazzo straniero aveva i testicoli rotti dai calci, mi sembrava fosse tedesco, non ho mai visto tanto dolore sulla faccia di una persona. Ma noi non c'entriamo nulla: portavamo quei ragazzi in carcere così come ci arrivavano dai gabbioni della polizia. Due li abbiamo ricoverati in ospedale".Intende dire che i fermati erano stati ridotti in quelle condizioni dalla polizia?"Io non ho visto pestaggi con i miei occhi ma neppure potevo visto che stavo sempre chiuso dentro l'ufficio matricola. Spesso mi affacciavo nel corridoio che portava ai gabbioni della polizia distanti almeno cinquanta metri dal mio ufficio, sentivo urli e pianti dal fondo della palestra, ma non potevo vedere". Cori e inni a Pinochet?"No, sentivo urlare. Ma non so dire perché. C'era tanta gente e tanta confusione. Era una situazione molto particolare. Bisognava esserci per capire. Gli arrestati sono stati 288 ma da Bolzaneto, in tre giorni, sono passate più di 500 persone: molti sono stati mandati via dopo ore di fermo. Erano finiti lì per sbaglio". L'ispettore Paolo Tolomeo è in forza al Gom, il gruppo operativo mobile della polizia penitenziaria, il reparto scelto del Dap che secondo alcuni poliziotti sono stati "i veri aguzzini" di quel lager chiamato Bolzaneto, la caserma del sesto reparto mobile della polizia di stato. Ispettore, lei era in servizio a Genova durante il G8?"Io sono stato in servizio alla caserma Bolzaneto dalla mattina del giorno 17 a mezzogiorno di lunedì 23 luglio. E per tre giorni, venerdì, sabato e domenica non sono mai smontato dal servizio se non per un paio d'ore".Dunque un testimone diretto. Un poliziotto accusa il suo reparto, il Gom, di essere stato il vero responsabile dei macelli a Bolzaneto."Dare la colpa alla polizia penitenziaria è spesso la cosa più facile. Ora le spiego perché quello che dice l'agente di ps è tecnicamente impossibile".Dica."Il Gom e gli agenti della polizia penitenziaria sono stati inviati a Genova, in tutto duecento persone, con l'unico incarico di provvedere alla immatricolazione e traduzione dei detenuti. Noi non siamo mai stati impiegati in ordine pubblico per strada e a Bolzaneto, territorio della polizia di stato. Avevamo il divieto di occuparci dei fermati. Noi li prendevamo in carico dopo ore che stavano ammassati in trentaquaranta dentro i gabbioni. Da noi arrivavano dopo l'identificazione e quando l'ufficiale di polizia giudiziaria aveva scritto il verbale di arresto. A quel punto passavano all'immatricolazione, si comunicava in quale carcere sarebbero andati a finire e venivano sottoposti a visita medica".Dunque non c'erano contatti o zone miste fra voi e la polizia? "Assolutamente no. Direi quasi che c'era una specie di limite invalicabile, territoriale e professionale".E' difficile immaginare quello che dice visto che eravate tutti nello stesso ambiente, molto grande ma pur sempre lo stesso edificio."Dentro la grande palestra della caserma sono stati costruiti, apposta per il G8, nove gabbioni, celle con tanto di sbarre, tutte in dotazione della polizia e tutte destinate a trattenere i fermati prima dell'immatricolazione. La polizia penitenziaria aveva altri due gabbioni accanto all'infermeria gestita da tre medici e sei infermieri. Qui i giovani ormai arrestati aspettavano per andare verso le carceri di Alessandria e Pavia. E qui, solo qui, noi della polizia penitenziaria potevamo entrare". uanto tempo passava dall'arrivo dei fermati a Bolzaneto al passaggio all'ufficio matricola, cioè sotto la vostra giurisdizione?"Dipende, in certi momenti, venerdì pomeriggio, sabato pomeriggio e sabato notte, anche ottonove ore. I blindati della polizia scaricavano trenta, quaranta persone per volta".Numeri che raccontano veri e propri rastrellamenti."I numeri sono questi".Un giovane arrestato dice che agenti della polizia penitenziaria si sono infilati guanti neri imbottiti e hanno picchiato per un'ora."Noi non avevamo guanti neri, solo quelli bianchi di lattice".Una ragazza ha raccontato di essere stata minacciata di stupro dai Gom."I Gom in servizio a Bolzaneto erano sei per turno. Gli altri erano normali agenti di polizia penitenziaria e addetti al servizio traduzioni".Lei è mai entrato in un gabbione?"Nei nostri. Per quello che ci riguarda abbiamo offerto acqua, sigarette e cercato di tirarli un po' su di morale. Qualcuno sarà stato anche un duro ma i più sembravano ragazzini morti di paura".Vi accusano di perquisizioni violente, ad esempio piercing strappati dal naso e capelli lunghi rasati di colpo."I piercing sono stati tolti con la pinzetta dal medico. Così come i braccialetti di spago ai polsi sono stati tagliati con le forbici. Capisco che anche queste sono violenze ma il regolamento penitenziario impone di non portare in cella certe cose".Perché vi accusano?"I ragazzi avranno confuso le divise. La polizia cerca di scaricare su di noi ma siamo gli unici a non aver fatto nulla"
(27 luglio 2001)

Il racconto di un giornalista inglese pestato durante il blitz di sabato notte
"Ho finto di essere morto continuavano a picchiarmi"


di MARCO PREVE

-------------------------------------------------------------------------------- GENOVA - "Mai visto fare una trasfusione di un litro e mezzo di sangue a una palla da football? Beh amico, quel pallone ce l'hai davanti agli occhi". Un polmone bucato, qualche costola in frantumi, un paio di denti in meno. Gli mancano un mucchio di pezzi a Mark Covell, 33 anni giornalista inglese, ma non il tradizionale "humour" della sua terra. Oggi può scherzare ma l'incubo iniziato sabato notte è finito solo mercoledì mattina, quando l'avvocato Filippo Guiglia gli ha comunicato che il suo arresto non era stato convalidato. Del resto sarebbe stato strano, visto che Mark a Genova non ha partecipato a nessuna manifestazione. Racconta questo ed altro dalla sua stanza del reparto di chirurgia toracica dell'ospedale San Martino. Gli hanno diagnosticato un pneumotorace, ma di nascosto dalle infermiere si fuma una sigaretta. D'altra parte, a uno che i carabinieri che hanno preso a calci credevano morto, un po' di catrame nei polmoni non fa più paura. A lui, come a decine di altre persone di quel sabato cileno una sola domanda: che cos'è successo? "E' successo che sono diventato un 'human football', un pallone umano - risponde -. Ero in mezzo alla strada, proprio davanti al cancello della scuola Diaz, quando sono arrivate le camionette. E ci sono rimasto intrappolato mentre i carabinieri chiudevano i due lati della via. Quando ho visto un gruppo venirmi addosso, ho mostrato la tessera da giornalista (è l'inviato di Indimedia uk., un network on line di informazione alternativa con diverse edizioni, compresa quella italiana, tra i più seguiti, ndr). Mi hanno colpito subito con i manganelli. Poi uno con lo scudo mi ha schiacciato contro il muro e l'altro mi ha riempito di botte ai fianchi". E' solo l'inizio del racconto che ieri pomeriggio Covell ha ripetuto in diretta ai microfoni della Bbc. "Mi dicevano in inglese - continua - 'you are blackblock, we kill blackblock' (tu sei un black e noi ti uccidiamo). A quel punto sono caduto mezzo svenuto e ho visto che il furgone stava sfondando il cancello della scuola. Ero a terra e loro continuavano a prendermi a calci. Correvano da una parte e mi mollavano un calcio. E' lì che sono diventato un pallone". Sky, questo è il suo soprannome, tira il fiato e aggiusta il tubicino del drenaggio. Il sangue esce dal polmone e cola in un boccione. "Pensavo che sarei morto e così ho fatto finta di esserlo - prosegue il giornalista -. Un carabiniere è venuto a sentirmi la vena del collo e poi altri due mi hanno trascinato dentro la scuola, con gli altri. Menavano ancora. Mi ha salvato un medico o un infermiere, tra i primi arrivati che ha detto basta, basta e allora tutto è finito. Devo ringraziare quel dottore, anzi lui e altri due del pronto soccorso". Perché? "Perché ricordo - dice Mark Covell - che ero lì sulla barella e la polizia voleva portarmi all'infermeria militare (alla caserma di Bolzaneto, ndr). Ma due dottori si sono opposti, uno in particolare, Paolo, e lo ringrazio davvero, forse sarei morto". Dopo? "Dopo niente - risponde il reporter britannico -. Sono svenuto, credo, e mi sono svegliato il mattino. E sono stati altri tre giorni duri. Stavo male e non mi facevano vedere nessuno. Ho incontrato solo il console (Alan Reuter, console generale di Milano, ndr)". La liberazione è arrivata mercoledì mattina. Il giudice e l'avvocato stavano per iniziare l'interrogatorio di convalida dell'arresto quando è arrivato un fax dal tribunale. Un altro giudice aveva già deciso di non convalidare l'arresto (ancor prima dell'interrogatorio) e Mark Covell è tornato ad essere un cittadino libero, ferito, ma combattivo. "Ho detto al console che farò denuncia - spiega - perché non è possibile che una cosa del genere accada in un paese che si dice democratico. Come hanno potuto accusarmi di essere un Black Bloc. Io non ho nemmeno visto una manifestazione. Sono stato sempre chiuso al terzo piano della scuola, dove c'era il News Dispatch. Da lì aggiornavo il nostro sito con le notizie che arrivavano dalle piazze e dalle strade. Non pensavo andasse a finire così".
(27 luglio 2001)



La testimonianza di Alfonso De Munno fotografo romano di 26 anni
"Continuavano a colpire cantando Faccetta Nera e un inno a Pinochet"


di ANAIS GINORI
-------------------------------------------------------------------------------- Alfonso De Munno, 26 anni, fotografo freelance di Roma. Capelli castano chiaro lunghi, occhi blu. Ha un piede fratturato, una costola incrinata. Il viso tumefatto, il corpo pieno di lividi. Il suo racconto è lucido e concitato. "Mi portano a Bolzaneto verso le 16.30 di sabato. Sono già stato pestato a sangue dalla guardia di finanza mentre scatto alcune foto dei black bloc. Arrivo alla caserma in camionetta, assieme a una ventina di fermati. Ho le mani legate, lacci neri di plastica, molto stretti. Il benvenuto: ci lanciano fuori dal pullman e iniziano manganellate e insulti. "Perché non provi a chiamare Bertinotti o il tuo amico Manu Chao?". La colonna sonora dell'orrore è una cantilena, i celerini la sanno a memoria. Adesso anch'io l'ho imparata, purtroppo: "un due tre, viva Pinochet, quattro cinque sei, a morte gli ebrei, sette otto nove, il negretto non commuove". Finisco nell'ultimo stanzone della caserma. Mi tocca una nuova dose di calci e pugni. Rimango a terra, non posso più alzarmi: ho il piede fratturato, la costola dolorante. Vedo uno spettacolo dell'orrore: una ragazza svedese viene portata via per i capelli, i celerini spengono le sigarette sulle mani di un francese. Un ragazzo si fa la pipì addosso per la paura o perché non ce la fa più. Nessuno di noi si può muovere. Un agente corpulento entra nella stanza e inizia a massacrare un ragazzo perché "l'ho visto in piazza che mi insultava". Pochi minuti dopo passa un carabiniere che raccomanda ad altri due: "Quelli della celere è meglio non farli entrare". Ma il peggio inizia quando arriva la polizia penitenziaria: non ho mai visto tanta violenza in vita mia. Si infilano i guanti neri imbottiti e per un'ora non smettono di menare. Continuo a sognare un tizio che viene sbattuto contro il muro e lascia sulla parete un rigagnolo di sangue. Finalmente, verso le 4 di mattina partiamo per il carcere di Alessandria. Ancora qualche botta. Poi la pace, se di pace dopo l'inferno si può parlare". Alfonso è stato rilasciato lunedì sera. E' assistito dall'avvocato Simonetta Crisci. Adesso è a casa sua, non riesce a dormire, oggi andrà in ospedale. Né in caserm, né a Bolzaneto ha potuto avere un referto medico. Sporgerà denuncia per gravi lesioni volontarie. "Voglio un processo per ciò che è successo a Bolzaneto dice . Deve essere qualcosa di esemplare, di cui parlerà tutta l'Europa". Gli sono stati "sequestrati" i dodici rullini che aveva scattato prima del "lager". Ma i ricordi sono impressi nelle sue cellule, ormai. Dice: "Saprei riconoscere tra mille i miei torturatori".

(26 luglio 2001)

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